30 Ago, 2023

“Pensate mai di morire?”

Barbiecore e l’eco mediatica

“Uno spot mascherato da film”: è come vari critici recensiscono Barbie, il prodotto della Warner Bros con la regia di Greta Gerwig che a distanza di un mese dal debutto fa ancora parlar di sè.

Un film che si nutre di «una strategia di marketing onnivora e fagocitante, capillare nel suo insinuarsi nei settori più disparati», dunque come potremmo non dire la nostra?

Prima di dilettarci in una piacevole chiacchiera da (e magari fra) markettari, ecco una rapida digressione per gli anticonformismo che si sono sottratti alla visione del film… quelli che i critici più accaniti definirebbero “pochi ma buoni!”.

Barbie è ambientato in un Eden strabordante di rosa e divertimento: lì vivono le Barbie, accompagnate dai rispettivi Ken, la cui missione è rendere felici le bambine di tutti i tempi dimostrando loro di poter essere tutto ciò che vogliono. Non è un caso che esistano Barbie presidenti, Barbie scienziate e giornaliste, il cui standard di riferimento è Barbie stereotipo, interpretata dall’inimitabile Margot Robbie; al suo fianco Ryan Gosling, un Ken belloccio e sensibile che soffre le mancate attenzioni della sua compagna. Per questo, quando lei comincerà a manifestare strani sintomi (paura di morire e piedi piatti), la seguirà nel mondo reale per capire l’origine del suo malessere.

Una volta approdati fra gli umani, ha luogo una curiosa inversione di ruoli: la protagonista si trova faccia a faccia con le brutture dell’essere donna, ma soprattutto si scopre un giocattolo desueto e sessista che le nuove generazioni tendono a snobbare; al contrario Ken conosce il patriarcato ed esplora una forma mentis maschilista che dà uno slancio alla sua autostima. Uno slancio tale da organizzare un colpo di stato a Barbieland, senza tuttavia convertirsi mai in un vero antagonista: non c’è violenza in lui, né alcun regime del terrore, solo uno sfogo dell’eterno bambino che ancora deve scoprire il peccato originale.

In sintesi, entrambi compiono un percorso di crescita di cara9ere ‘identitario’: Ken dovrà capire chi è al di là di Barbie, la quale invece sceglierà di diventare una donna “vera”… a partire da una visita ginecologica.

Quello ad oggi noto come “Barbiecore” è un fenomeno originatosi non dal 20 luglio in poi – data di esordio – bensì 4 anni fa, quando la Gerwig ha annunciato di prendere il timone della regia generando un hype senza precedenti; hype culminato l’estate scorsa con la comparsa delle prime foto dal set – che ritraevano Barbie e Ken in rollerblade o in tenuta da cowboy rosa shocking – ed ampiamente ripagato con l’uscita del trailer, un tripudio di rosa e riferimenti puntuali agli intramontabili giocattoli Mattel. Ma vediamo di esaminare più approfonditamente cosa e come ha accompagnato il nostro ingresso nella fantastica life in plastic.

 

Social network all’appello!
Del resto, chi altro potrebbe mai detenere il monopolio della ‘capillarità’?
Soffermiamoci sui fattori che hanno determinato una diffusione così ampia e pronunciata:

 

  • La componente estetica. Tutto è straordinariamente particolareggiato ed impeccabile, come le vite perfette profuse su Instagram;
  • Il colore rosa, che in tutte le sue declinazioni si permea di significati positivi. Se ci pensate, Think pink, think positive non è forse il motto che incoraggia a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno?;
  • Nostalgia, nonché fattore trainante le scelte di consumo. La natura squisitamente amarcord della bambola e i suoi beauty look hanno il potere di sollecitare la sfera dei ricordi, destando un interesse fisiologico nel pubblico;
  • Diversità, promossa da un casting d’eccezione che intercetta i gusti e le prerogative di tanti segmenti di audience. Fate un sforzo e cercate di rievocare l’introduzione di Teresa, l’amica di Barbie dalle origini latine e i capelli castani, e Christie, la prima afro-americana… Allora eravamo nel 1988, ma nel 2016 questo approccio evolutivo si è tradotto in nuove fisicità – petite, tall e curvy – sull’onda della body positivity. Insomma, l’idea di ‘bellezza globale’ non poteva rimanere statica bensì doveva poter rappresentare qualsiasi tipo di donna e personalità;
  • Empowerment femminile. Barbie può essere ciò che vuole, e quindi anche tu.

Ora che abbiamo datato e motivato il fenomeno ‘Barbiecore’, eccovene qualche manifestazione:

  • Filtri social popolati dagli slogan This Barbie is… oppure He is just [Ken] da abbinare alla propria foto e completare a piacimento, coinvolgendo utenti e testate internazionali;
  • Meme che trasformano Barbie da standard di bellezza irraggiungibile in un personaggio nel quale identificarsi, che con acconciatura perfetta e sorriso smagliante nel pieno di una festa esclama “Pensate mai di morire?”, rivelando l’anima anarchica del film, configurato in parte come mezzo di evasione e in parte come critica sociale. La cascata di meme si è fatta ancor più travolgente quando, constatato l’esordio di Barbie e Oppenheimer nello stesso giorno, sono stati lanciati ossimori, dicotomie e inaspettati parallelismi fra le due pellicole. Vi basti sapere che la Rete ha già indicizzato la parola “Barbenheimer”, cui è stata dedicata una pagina Wikipedia;
  • Partnership e collab coi brand più esclusivi…

–  Airbnb ha dato la possibilità a due fortunati di soggiornare una notte nella sfavillante casa di Malibupresso cui è stato girato il film;
– Crocs ha lanciato nuovi modelli fucsia, decorazioni con fenicotteri e Jibbitz charm a tema;
–  NYX ha proposto un’inedita linea di make-up;
–  Zara, Superga ed altri brand d’abbigliamento ed accessori hanno realizzato speciali collezioni;
–  Bumble ha deciso di regalare agli utenti nuovi messaggi d’incoraggiamento tratti direttamente dal film;
–  Google, il nostro caro Google, si è tinto di rosa ogniqualvolta si cercano i nomi dei vari interpreti.Insomma, pare proprio che “guardare il mondo con gli occhiali rosa” non sia più (solo) un semplice detto!

E pare anche che il Barbiecore possa essere classificato come “real fake”, un fenomeno d’eccesso per finzione, deliberatamente tangibile da diventare autentica.

Come la pellicola regala un’esperienza dichiaratamente superficiale al punto da risultare profonda, così gli stucchevoli outfit altro non sono che un gioco stilistico che cela dietro un’apparente leggerezza l’effettiva intenzione di non prendersi troppo sul serio.
Moderna, progressista, emancipata ed inclusiva. Questa è Barbie, e Barbie è ogni donna. Al diavolo “la bella che non balla”!

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