24 Feb, 2023
come sviluppare una comunicazione empatica mediante sito web
Il concetto di ‘human brand’
Avete mai sentito parlare di human brand? Se non vi siete ancora imbattuti in questa espressione, è bene rafforzare la vostra consapevolezza sul marketing odierno.
L’umanizzazione del brand – il cui esito è, per l’appunto, lo human brand – è quel processo attraverso cui si associano caratteristiche umane a una marca: non si tratta di soli tratti antropomorfici rintracciabili nel logo, ma di aspetti caratteriali ed emotivi che abbattono le barriere spazio-temporali con l’interlocutore. Vi sarà capitato di osservare lo spot di M&M’S: ebbene, le caramelle sono state umanizzate sia dal punto di vista ‘fisico’ che ‘di personalità’. Ed è questa personalità che favorisce l’instaurarsi di una relazione emotiva col consumatore.
Come nei rapporti umani, in cui si simpatizza con coloro che presentano caratteristiche/interessi affini ai nostri, anche i brand sono piuttosto selettivi rispetto alle personas con cui instaurare un legame: è infatti possibile suscitare emozioni positive solo alle fette di mercato in target, ovvero che hanno aspetti anagrafici, abitudini di consumo e credenze in linea con la funzionalità del bene o servizio fornito e l’ideologia soggiacente. Questa dinamica, ovvero creare un ponte emotivo con l’interlocutore, può tradursi in un dialogo che deve svilupparsi nel modo più fluido e naturale possibile: uno spazio in cui ciò può avvenire e quindi dev’essere umanizzato è il sito web. Di seguito sveliamo alcuni interventi che possono ottimizzare l’interazione sito-utente, migliorando di conseguenza la user experience:
1. Inserire volti umani, capaci di generare empatia. Siamo naturalmente predisposti a processare le espressioni facciali quindi l’inserimento di un volto favorisce l’attivazione delle aree cerebrali deputate al suo riconoscimento;
2. Evitare le foto di archivio, troppo artificiali e poco riconducibili alla realtà quotidiana del cliente tipo. Andrea Saletti, esponente del neuromarketing, spiega che «Diversi studi hanno dimostrato quanto un’immagine amatoriale, ma maggiormente realistica, risulti emotivamente più coinvolgente rispetto ad una controparte patinata, ma assente da qualsiasi situazione esperienziale concreta.»;
3. Indirizzare il focus sull’utente, assecondando il suo egocentrismo. Il nostro approccio egoistico alla comunicazione ci induce a prestare attenzione e attribuire maggior importanza a ciò che ci fa sentire protagonisti di una situazione;
4. Adottare una voce umana, omologando la comunicazione alle parole e i frame con cui si esprimono i clienti tipo nel web affinché percepiscano una maggior vicinanza. Non si dimentichi che, con le recensioni degli utenti, le testimonianze, i social media e l’ascesa degli influencer, i 2/3 del marketing avviene al di fuori del controllo aziendale;
5. Far sentire le persone parte del processo, così che siano umanamente gratificate e colgano da parte del brand l’interesse nel conoscere la loro opinione. Sono tre gli espedienti principali tramite cui conseguire quest’obiettivo: personalizzare il prodotto e la navigazione mediante marketing automation (modulazione del sito sulle caratteristiche comportamentali dell’utente); proporre sondaggi e quiz con ricompense; promuovere l’effetto Ikea, ovvero stimolare il cliente a ‘costruire’ il prodotto affinché avverta sin da subito una forte paternità nei suoi confronti;
6. Mostrare la propria vulnerabilità, comunicando apertamente i propri limiti e così trasmettendo l’idea di onestà, fiducia e trasparenza. Ciò produce il risvolto positivo di generare consapevolezza nel cliente circa i pro e i contro del bene/servizio, evitando malintesi futuri;
7. Non assillare l’interlocutore, risparmiandogli pop-up o contenuti blindati da un form di richiesta email e lasciando che la sua esperienza di navigazione sia il più scorrevole possibile.
In conclusione la comunicazione ha transitato dal B2B/C al H2H, ovvero si dispiega fra esseri umani e la sua efficacia dipende dal reciproco scambio di emozioni positive.