28 Ott, 2022
il fenomeno Vinted e la digitalizzazione del riuso
Reduce, Reuse, Recycle
Londra, anni ’70: sei un turista che si diletta in una piacevole passeggiata fra i mercati del vintage per accaparrarsi quanti più oggetti di dubbia provenienza. Italia, 2023: sei uno dei 50 milioni download dell’app di compravendita più gettonata e ad oggi conosciuta in 12 Paesi… Vinted.
Nata in Lituania nel 2008, Vinted è l’applicazione adibita all’acquisto e la vendita di abiti ed accessori di seconda mano che ha mandato in tilt vari segmenti generazionali, convertendosi in un fenomeno sociologico che è interessante sviscerare.
Come ogni fenomeno, specie se di portata globale, ha delle cause intrinseche riconducibili alle esigenze dei consumatori. Scopriamole nel dettaglio:
- Disfarsi di ciò che appesantisce. Il Covid (ti pareva che non dovesse metterci lo zampino?!) ha esasperato il bisogno di vivere una quotidianità più ‘leggera’, sgravandosi dall’assillo delle restrizioni e barriere, fisiche e non. C’è chi, mosso da questa urgenza, ha lasciato il proprio posto di lavoro e si è cimentato in attività meno impegnative… come fare un ripulisti del guardaroba e vendere il superfluo su Vinted.
- Superare l’incertezza mediante un’economia circolare. In tempi duri, come quelli generati da guerre e pandemie, il ruolo del consumatore non si esaurisce in semplice acquirente ma si evolve in fornitore di beni; ed è proprio su questo trend che investe Vinted, consentendo all’utente di comprare a basso prezzo (ovvero risparmiare) e commercializzare su vasta scala (ossia guadagnare). Di quale ‘utente’ parliamo? Parliamo dei baby boomer, la Generazione Z e le famiglie nella fascia anagrafica dai 35 ai 45 anni. Prima di passare al punto successivo, occorre per onestà intellettuale fare una breve digressione.
In un servizio di quattro pagine su Liberation, quotidiano francese, compare sentenziosa la conclusione «Acquistare vestiti di seconda mano seminuovi nei marketplace che si trovano in rete, tipo Vinted, per dare concretezza all’economia circolare e consumare in un modo ecologicamente compatibile: balle, sonore balle.» Ad accompagnare l’argomentazione secondo cui canali di compravendita strutturati come Vinted stimolano le dinamiche della ‘fast fashion’, esemplificata in acquisti ingenti ed impulsivi. “Magari non l’indosserò, ma costa poco e mal che vada lo rivendo”, riflette l’utente medio prima di compiere una decisione d’acquisto, sbrigativa e superficiale. Pertanto c’è chi sostiene che, anziché l’economia circolare, il business promosso da Vinted incoraggi il consumismo. Noi vi abbiamo dato due verità, sta a voi scegliere quale sposare.
- FOMO. Ultima esigenza che t’illustriamo come concorrente all’ascesa di Vinted è la cosiddetta “Fear of Missing Out”. Non sai di che si tratta? Pazienta un minuto. Vinted ha degli indubbi pregi, dall’interfaccia user-friendly all’assenza di costi di commissione e basse spese di spedizione; ma – presta attenzione – non sarà che l’ansia sociale scaturita dal mancato utilizzo dell’app onni-utilizzata ne abbia fatto aumentare a dismisura i download? In altri termini, può essere che l’utente X scarichi Vinted perché gli amici Y, Z, A, B, C eccetera la usano? Riflettici, più se ne parla più si vuole essere partecipi della conversazione. E quale miglior modo per esserlo se non testando lo strumento in prima persona?
Alla luce di questa breve ma – ci auguriamo – esaustiva indagine sociologica del fenomeno Vinted, ne avrai intuito la complessità e al contempo inevitabile impennata; talmente inevitabile che persino i grandi brand d’abbigliamento hanno iniziato a destinare sezioni delle rispettive attività commerciali a capi di seconda mano, sia online sia nei punti vendita. E quando diciamo ‘grandi’ non ci stiamo riempiendo la bocca, bensì parliamo di Pimkie, Décathlon e nientepopodimeno delle Galeries Lafayette… Tanto per cominciare.
E come si suol dire, The best is yet to come.